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De erroribus speculorum
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De erroribus speculorum

4 ott. 2002


A cura di
Ken'ichi Takahashi
Riccardo Bellè


Introduzione

1  Presentazione dell'opera

1.1  Suddivisione in parti e riassunto dei contenuti

In questa introduzione ci occupiamo dell'opera intitolata De erroribus speculorum. Si tratta della piú corta tra le opere di ottica di Maurolico, occupa infatti solo una pagina1 nella princeps editio stampata a Napoli nel 1611 contenente tutti gli scritti di argomento ottico giunti fino a noi. Sottolineiamo una particolarità sulla quale torneremo piú avanti: il De erroribus speculorum non compare nel frontespizio, contenente invece le altre tre opere, Photismi, Diaphana, Problemata. È inoltre importante, come vedremo piú avanti, la posizione in cui si trova il De erroribus speculorum: a pagina 30, di seguito ai Photismi (che terminano a pagina 29) e prima dei Diaphana (che iniziano a pagina 31).

La stampa di Napoli ebbe una serie di vicissitudini editoriali, essenzialmente ricostruibili attraverso la corrispondenza Staserio-Clavio, i due personaggi centrali della vicenda, delle quali abbiamo ampiamente discusso nell'introduzione al volume. Ricordiamo qui semplicemente che in questa edizione comparivano, organicamente inserite nel testo genuinamente mauroliciano, ma stampate con un diverso carattere (corsivo), delle aggiunte scritte da Clavio per rendere piú chiara l'esposizione e spiegare meglio alcuni passaggi.2 Nel caso del De erroribus non vi sono aggiunte di Clavio.

In questa opera Maurolico si occupa delle proprietà della riflessione che avviene in vari tipi di specchi: piani, sferici, cilindrici, piramidali; questi ultimi tre sono a loro volta divisi in concavi e convessi (in totale cioè, sette tipi differenti). Le caratteristiche della riflessione nei vari casi vengono descritte con le parole: ``alteratio, augmentum, diminutio, inversio sive omnimoda, sive partialis, ac multiplicatio idoli''. Sono, dunque, questi gli ``errori'' ai quali si riferisce il titolo dell'opera, cioè i cambiamenti che subisce l'immagine3 a causa della forma dello specchio.

Ad esempio, nel caso dello specchio sferico convesso afferma che, rispetto all'oggetto reale, diminuisce sia la dimensione dell'immagine sia la sua distanza.

Il testo termina con due considerazioni: la prima riguarda quelle che Maurolico chiama ``formae speculorum mixtae'' (intendendo con questo molto probabilmente le possibili combinazioni degli specchi precedenti) nelle quali si riscontrano variazioni delle immagini in infiniti modi; la seconda concerne gli specchi piani, riguardo ai quali afferma che, non essendo possibile produrre uno specchio perfettamente levigato, anche in essi si avranno, a causa, appunto, delle inevitabili imperfezioni materiali, variazioni delle immagini tanto piú rilevabili quanto lo specchio sarà piú ampio e l'occhio piú distante da esso.

Le varie proprietà degli specchi che Maurolico espone in questo breve testo non sono dimostrate, ma semplicemente enunciate in maniera discorsiva, senza troppe giustificazioni. Per comprendere questo aspetto è necessario tenere in considerazione il fatto che il testo, all'interno della stampa di Napoli, si trova immediatamente dopo i Photismi. La parte finale dei Photismi si occupa proprio degli specchi, trattando, oltre alla legge di riflessione e ad altre considerazioni di carattere generale, anche i casi di specchi sferici concavi e convessi. Può quindi darsi che Maurolico ritenesse che il De erroribus speculorum fosse un testo che doveva essere letto di seguito ai Photismi, dei quali andava a costituire cosí un'estensione a un maggior numero di casi.

A questa interpretazione si oppone --- apparentemente --- una questione di contenuto. Nei Photismi, infatti, Maurolico si occupa esclusivamente della luce e mai della visione.4 Nel caso degli specchi questo implica l'assenza dell'osservatore (si occupa solo della riflessione dei raggi solari) e conseguentemente del concetto di immagine.5 Per sanare questa apparente incongruenza6 dobbiamo tenere conto delle date di composizione delle due opere7: i Photismi furono completati nel 1521, il De erroribus nel 1555. Tra queste due opere, dunque, intercorsero piú di trent'anni; questo può giustificare il loro differente punto di vista.

1.2  Rapporti intratestuali e fonti

Il De erroribus speculorum non compare in nessuno dei testi che Maurolico compose, nel corso di tutta la vita, con lo scopo di descrivere le proprie opere e illustrarne brevemente il contenuto.8 Se a questo aggiungiamo che l'opera non viene citata neanche nel frontespizio della stampa e che è strettamente collegata (sia come contentuo sia come dipendenza logica) ai Photismi --- questo è dimostrato anche dalla sua collocazione, proprio di seguito ad essi (sia nella stampa sia nell'altro testimone, il manoscritto di Lucca) --- possiamo concludere che molto probabilmente nella concezione mauroliciana la lettura del De erroribus speculorum doveva essere affiancata a quella dei Photismi, dei quali poteva costituire una sorta di ``appendice'' o di ``complementi''.

Non abbiamo rintracciato citazioni di questo testo in altre opere né in essa compaiono citazioni esplicite di altre opere né di Maurolico né di altri autori.

Dobbiamo ricordare però, oltre al già visto stretto legame coi Photismi, una certa somiglianza con un passaggio dei Diaphana.

Come detto nella descrizione del contenuto, nel De erroribus speculorum vengono trattati gli specchi cilindrici e piramidali (cioè conici). Analogamente nei Diaphana, dopo aver descritto il comportamento della luce attraverso sfere trasparenti, troviamo un teorema riguardante il comportamento nei cilindri e nei coni trasparenti (Teorema XXII). Le argomentazioni sono simili, e cioè sostanzialmente basate sulla considerazione che il cilindro ha in sé entrambe le caratteristiche del piano e della sfera e quindi si comporterà a seconda dei casi come una superficie sferica o una piana.

Per quanta riguarda le possibili fonti di questo testo, oltre all'opera classica sugli specchi, la Catottrica di Euclide, che è importante come riferimento generale ma non presenta analogie sostanziali, abbiamo rintracciato similitudini piú marcate, per lo meno quanto ad argomento, con alcuni passaggi dell'opera di Pecham; nelle proposizioni 35 e 36 del secondo libro della Perspectiva communis viene trattato il caso degli specchi cilindrici (chiamati da Pecham ``columpnares'') e nelle 37 e 38 viene trattato il caso degli specchi conici (indicati stavolta con lo stesso termine usato da Maurolico: ``pyramidales'').9 La discussione di Pecham riprende alcuni argomenti, talvolta ampliandoli e chiarificandoli, che si trovavano già nella Perspectiva di Bacone; il capitolo terzo della ``Prima distinctio'' della terza parte, si occupa proprio degli errori degli specchi.10 Bacone adopera per indicare le immagini sia il termine ``ymago'' (come Pecham) sia il termine ``ydolum'' (come Maurolico).

Entrambe le discussioni di questi due studiosi medievali sono in larga misura, per loro stessa ammissione, dipendenti dalla Perspectiva di Alhazen (in particolare dalla prima parte del sesto libro) che viene infatti citata da entrambi.

2  Tradizione e novità

L'eccessiva brevità del testo rende l'analisi della struttura impossibile, eccezion fatta per l'aspetto già ricordato dell'assenza di dimostrazioni che lo avvicina, come tipologia, piú a una dissertazione a carattere discorsivo che a un testo dalle caratteristiche matematiche.

3  Contestualizzazione dell'opera

L'analisi del ruolo degli studi ottici all'interno della carriera matematica di Maurolico è stata analizzata nel dettaglio nell'introduzione generale al volume.

4  Fortuna

Quest'opera ha seguito la sorte degli altri testi con i quali compare nell'edizione di Napoli. Non ci sono note citazioni del De erroribus speculorum in alcuna opera successiva né abbiamo rintracciato sue influenze anche a causa della sua brevità e specificità.

5  Ringraziamenti

Ringraziamo il direttore della Biblioteca di Lucca per averci permesso di fotografare il manoscritto e il sig. Pesi, sempre della Biblioteca di Lucca, per averci concesso l'autorizzazione a esaminarlo personalmente. La professoressa Derenzini per la descrizione del manoscritto di Lucca. L'antiquario Martayan Lan di New York che ci ha inviato delle fotocopie di una copia di S10 in suo possesso. Il professor Thomas Settle che ha controllato per noi una copia di S11 alla New York Public Library.

6  Testimoni

mss: Lucca, Biblioteca Governativa, 2080. (siglum C7)

st: Photismi de lumine et umbra. (siglum S10)

Theoremata de lumine et umbra, apud Bartholomaeum Vincentium, (L. Hurillion), Lugduni, 1613. (siglum S11)

La copia di S10 da noi utilizzata è quella conservata alla Biblioteca Universitaria di Pisa (segnatura E d 6 53).

7  Criteri di edizione

I criteri di edizione sono analoghi a quelli adoperati per i Photismi opera della quale il De erroribus condivide la tradizione.

Abbiamo uniformato la punteggiatura all'uso moderno laddove necessario.


1 Esattamente pagina 30.

2 ``Tum P. Clavii iudicio notisque quas alia literarum forma inter auctoris demonstrationes inseruimus ad maiorem distinctionem et commodum tuum.'' Cfr. [Maurolico1611], c. 5*.

3 Maurolico adopera il termine idolum per ciò che oggi viene chiamato immagine (virtuale e reale).

4 Cfr. l'introduzione ai Photismi in questo stesso volume.

5 Cfr. [Lindberg1983]: ``Maurolico's Photismi contains no observers and therefore no virtual images'' e la nota 18: ``But see his brief note, De erroribus speculorum, which immediately follows the Photismi in the 1611 edition (p. 30); here we find observers and virtual images.''

6 Alla quale possiamo aggiungere una considerazione lessicale di minore importanza: nei Photismi, per indicare lo specchio sferico concavo, viene adoperato il termine cavum mentre nel De erroribus, viene adoperato concavum.

7 Per fortuna, infatti, sono entrambe datate in calce.

8 Maurolico compose varie e successive versioni del suo Index lucubrationum (la prima risale al 1528 e l'ultima venne stampata nel 1575, solo un anno dopo la sua morte).

9 Cfr. D. C. Lindberg, John Pecham and the Science of Optics, pp. 188--190.

10 Bacone adopera proprio il termine ``error'' in vari passaggi: ``In planis igitur speculis minimus error accidit'' e ancora ``Est tamen in planis speculis error communis qui est in omnibus''. Cfr. D. C. Lindberg, Roger Bacon and the Origins of Perspectiva in the Middle Ages, pp. 262--268.

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